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sabato 10 aprile 2010

Andrea Zanzotto, ORMAI


Ormai la primula e il calore
ai piedi e il verde acume del mondo

I tappeti scoperti
le logge vibrate dal vento ed il sole
tranquillo baco di spinosi boschi;
il mio male lontano, la sete distinta
come un'altra vita nel petto

Qui non resta che cingersi intorno al paesaggio
qui volgere le spalle.


Da Dietro il paesaggio




C.Contini, Verde profondo



lunedì 22 febbraio 2010

La Riviera delle Ville


Sono cresciuta dentro le mura della nobile dinastia dei Carraresi, signori della mia città finché non è arrivata Venezia. E sono felice della conquista, perché serenissima mi sento, e d'acqua, di laguna.
Ho un posto privilegiato, un luogo dove corro ogni volta che gli spazi stretti soffocano o la mente pesante opprime. È la Riviera delle Ville, di Stra, Mira, Dolo, Malcontenta. Scivolano sulle anse del Brenta, una dopo l'altra, le magnifiche dimore, in teoria di silenziose nobiltà. E c'è verde attorno e acqua, ancora. Fino al mare.
Pazienza se si deve attraversare Marghera: è un attimo e il Petrolchimico è già scomparso. Ecco Fusina, un misero centro che guarda Venezia, da lontano, con soggezione. La meta è l'ultimo lembo di terra, un fazzoletto d'erba e cemento da cui immaginarsi lei, la Serenissima, aiutati dalla danza di luci fioche per feste ormai consumate. Venezia indistinta nella stanchezza.
Capita, all'improvviso, nella calma piatta, un rumore di ferro e acqua solcata: chiatte arrugginite tornano verso le raffinerie e sfilano a pochi metri dal parapetto. Visione che va frantumandosi. Ma nessuna scheggia di colore si è in realtà staccata dal quadro. Un quadro di marmi, metallo, cristalli, alghe, camini, di un bar abbandonato con una vecchia insegna del telefono e le piastrelle azzurre che si intravedono da una gabbia di sbarre.

SP - fine maggio 2009


giovedì 28 gennaio 2010

Neve dal sesto piano - Policlinico

Oggi è nevicato. Dalla finestra del sesto piano stanza numero otto osservavo la Basilica del Santo immersa nel pulviscolo impazzito che stordiva ogni contorno. Guglie smussate per fede scivolosa. Dai letti si vedeva solo un insolito, esagerato biancore. Fastidio agli occhi per chi cercava tregua nell'apnea scura del sonno. Dopo un'ora ho salutato. Ho sceso le scale di corsa, per uscire nella tormenta senza ombrello né cappuccio. Strappo alla flebo che bagna le palpebre. Ogni passo era sfida già persa al fango sull'asfalto: carta carbone di angosce. Da rileggere ancora. E ancora.


SP 26 gennaio 2010

martedì 8 dicembre 2009

Il castello nella nebbia che ad Este non c'è


Velo di nebbia. La solita nebbia invernale sovrana. In latino è caligo, caliginis: nebbia, caligine, fumo. Ma anche oscurità, tenebre. E ancora: confusione della mente, debolezza della vista. Tanti i significati che ogni vocabolario ospita. Nel mio dialetto nebbia si dice caìgo, derivazione diretta dal latino, che non scomoda l'italiano. E i significati della lingua antica, per me, li porta tutti... continua su Tellusfolio