domenica 28 febbraio 2010

Lacrimando nel bianco


LACRIMA...

spunta 
scivola 
sciogli l'intrico 
arsura di silenzi. 

Nient'altra fatica. 

Poi ti lascio andare: 
su fazzoletto 
- di seta 
di carta - 
o nel terriccio 
- di vasi 
di strade - 

Oppure svàpora 
con altre senza occhi. 
Forse più scure, 
forse più amare.

sp © 2009

sabato 27 febbraio 2010

Ombretta del Mississippì


La visione del tutto incidentale di un video, ieri sera, mi spinge oggi a inaugurare un piccolo spazio (in forma di zainetto - Invicta, per essere filologici) dedicato agli anni 80, in declinazione tutta personale. Da riempire alla rinfusa, insomma, in totale voluto compiaciuto disordine. Anni d'infanzia e primissima adolescenza, questi 80, che la macchina del tempo modello youtube riesce a restituirmi. In fotogrammi fuori fuoco, come è giusto che sia.









lunedì 22 febbraio 2010

La Riviera delle Ville


Sono cresciuta dentro le mura della nobile dinastia dei Carraresi, signori della mia città finché non è arrivata Venezia. E sono felice della conquista, perché serenissima mi sento, e d'acqua, di laguna.
Ho un posto privilegiato, un luogo dove corro ogni volta che gli spazi stretti soffocano o la mente pesante opprime. È la Riviera delle Ville, di Stra, Mira, Dolo, Malcontenta. Scivolano sulle anse del Brenta, una dopo l'altra, le magnifiche dimore, in teoria di silenziose nobiltà. E c'è verde attorno e acqua, ancora. Fino al mare.
Pazienza se si deve attraversare Marghera: è un attimo e il Petrolchimico è già scomparso. Ecco Fusina, un misero centro che guarda Venezia, da lontano, con soggezione. La meta è l'ultimo lembo di terra, un fazzoletto d'erba e cemento da cui immaginarsi lei, la Serenissima, aiutati dalla danza di luci fioche per feste ormai consumate. Venezia indistinta nella stanchezza.
Capita, all'improvviso, nella calma piatta, un rumore di ferro e acqua solcata: chiatte arrugginite tornano verso le raffinerie e sfilano a pochi metri dal parapetto. Visione che va frantumandosi. Ma nessuna scheggia di colore si è in realtà staccata dal quadro. Un quadro di marmi, metallo, cristalli, alghe, camini, di un bar abbandonato con una vecchia insegna del telefono e le piastrelle azzurre che si intravedono da una gabbia di sbarre.

SP - fine maggio 2009


sabato 20 febbraio 2010

Edvard Grieg. Due frammenti dalla Suite in stile antico "Aus Holberg Zeit"

Coppie a braccetto, passeggini, risa sguaiate. Rumori da domenica in centro nel deambulare annoiato che si specchia in una vetrina dopo l'altra. Daltonica nel fiume variopinto e disordinato più non distinguevo le rive e perdevo l'orientamento nelle mie strade conosciute a memoria. Ho inciampato in una città senza quasi accorgermene, calpestando cartacce, sbattendo contro gomiti e gambe. Nello striscio di luce tra un palazzo e l'altro, decidevo di non sentire più nulla, se non Grieg. E come per dispetto, per consolarmi, o forse farmi male, pensavo al più lieve degli sfioramenti. L'ho chiamato sfioramento nella domenica solitaria. Assoluto di dolcezza impossibile. Ma la musica aiuta. Sempre. Sarabanda



Imparo una tristezza dignitosa, da accettarsi con lo sguardo fermo, che non si abbassa. Le regioni buie dell'anima vanno accontentate e io dedico loro questa colonna sonora. Sarà, il mio, il solito dolore, la trita solitudine fin troppo lacrimosa. Ma in fondo non è di questa sofferenza definita e semplice che abbiamo bisogno? Sofferenza di cui sia facile scrivere e narrare, per breve illusione di sollievo. Aria

SP - giugno 2009

sabato 13 febbraio 2010

Gabriel Fauré, Barcarolle n. 1 op. 26


Quando l'incedere sembra perdere il ritmo, essere quello di storpio, quando con un tonfo sordo si è infine caduti e, smarrita ogni stella, non c'è orientamento nemmeno al dolore, quando perdersi nella dissolvenza di sé sul ciglio di strade di vento pare l'unico possibile destino e il ribellarsi banalità, ecco, dopo una notte impastata di silenzio, di nero e di vuoto, l'orecchio dal nulla torna a sentire in distanza le note, e il sangue a pulsare flebile nelle vene dei polsi chiari. Ancora il suono giunge a consolare discreto, come carezza di madre.





Le mani del pianista, Albert Ferber, invitano a rialzarmi, e restituiscono il tempo al mio passo, leggerezza al cuore pesante. Sembrano prendermi l'ovale del viso, carezzarlo, sfiorare le dita i miei polsi. E forse dolcemente, come nei ricordi. Ed è questa musica, tenue e perfetta, luce d'alba di timidi pastelli, che mi convince a riprendere la strada, anche se sconosciuta rimane sempre la meta.





SP - luglio 2009


lunedì 8 febbraio 2010

domenica 7 febbraio 2010

Qualche riga per "Declinazione d'affetti"








POESIA, Crocetti editore - febbraio 2010